La danza del ciliegio di Veronica Variati

Titolo: La danza del ciliegio

Autore: Veronica Variati

Pubblicato: LibroMania

Genere: Romanzo rosa

Pagine: 276

Trama

Dopo l’ennesimo fidanzamento fallito, George Denison Morgan decide di andare il più lontano possibile. Il suo amico Samuel è a Kyōto per lavoro. È una città magica e a modo suo accogliente: decide così di partire subito. Dal primo momento si sente ammaliato e accarezzato da quelle atmosfere così diverse da quelle a lui familiari. Arrivato a Kyōto, il suo amico lo porta a teatro ed è qui che per la prima volta vede le geishe: creature meravigliose è quello che pensa subito. Yuki Kato è la protagonista di questo spettacolo e George vuole solo sentire la sua voce, parlarle, afferrare quel fascino soprannaturale. Ci riuscirà?

Un romanzo che profuma di alberi di ciliegio e colpisce per la delicatezza e per la speranza che trasmette.

Ambientazione

Quest’anno, grazie alle olimpiadi, la curiosità verso tutto ciò che è giapponese è fiorita come il tradizionale hanami e la proposta di libri ambientati nella terra nipponica è ormai ampia.

Ho letto con grande interesse la storia d’amore fra Yoki Kano e George D. Morgan, romanzata da Veronica Variati, ma sono rimasta piacevolmente colpita dalle tante informazioni sull’educazione di una geisha, sulla cultura giapponese dell’epoca e come su fossero visti gli stranieri sia in Giappone che in America. Nel libro vengono descritti con minuzia gli ambienti, i paesaggi ma anche le sensazioni che l’olfatto, il tatto o il gusto percepisce e tutto viene espresso con fascino orientale.

La tappa che ho scelto è sulle ambientazioni del libro e ho cercato informazioni sul periodo storico del 1904 per allinearmi alla storia.

Inizio con lo scrivere che Kyoto è definita come la città dei mille templi ed è un sito protetto dall’Unesco. Fu fondata nel 794  dall’imperatore Kammu e restò la capitale del Giappone fino al 1868, anno in cui l’imperatore Meiji si trasferì a Tokyo facendola diventare la nuova capitale del Giappone. Il palazzo dell’imperatore Kammu sorgeva nella parte settentrionale della città e la struttura del centro cittadino era squadrata. Quando ho scoperto la linearità e squadrature delle vie di Kyoto mi è venuta in mente l’urbanistica di Torino costruita ai tempi dei re, ma questo non è il momento di svelare questa curiosità.
All’inizio il nome di Kyoto era Heian (che significa capitale di tranquillità e pace), ma era anche nota come Miyako oppure Kyo, (diverse pronunce della parola capitale).

Nel libro vengono descritte le sale da tè e il quartiere di Gion è noto per ospitarne di numerose. Altra particolarità di Kyoto sono i giardini zen principalmente composti di ghiaia che viene rastrellata per aiutare la meditazione sopratutto dai monaci buddisti.
Gli edifici storici erano imponenti e maestosi – tutt’oggi si possono visitare il castello di Nijo e la villa di Katsura Rikru,  mentre le vie abitate dalle persone del popolo erano umili e attaccate le une dalle altre.
Il clima subtropicale permetteva al terreno di essere rigoglioso, avendo delle estati calde e afose e rigidi inverni. Sicuramente le verdi colline che circondano la città ai tempi dovevano essere rigogliose, piene di foreste e piantagioni di riso e bambù, mentre ora, con l’espansione edilizia, parte di quei panorami non si possono più vedere.

La seconda ambientazione, presente nel libro, è New York il cui stile di vita è totalmente diverso da quello orientale.
La città è il risultato dell’unione di Manhattan, Brooklyn e altre zone circostanti avvenuta nel 1898. La veloce industrializzazione permise di costruire i grattacieli, le metropolitane, le grandi stazioni ferroviarie e immensi ponti.
La Statua della libertà, donata dalla Francia anni prima come segno d’amicizia, era diventata il simbolo della città ed era la prima cosa che vedeva chi arrivava dal mare.
L’immigrazione favorì un multiculturalismo, sopratutto europeo e un’apertura totalmente differente rispetto alla rigidità nipponica. Già ai tempi la città mostrava la sua grandezza e potenza, anche se le persone erano ancora ‘legate’ alle differenze fra le classi sociali.

In ultimo c’è Parigi la cui storia è piena di aneddoti, leggende e cultura. Il suo fascino è sempre rimasto indiscusso, la visione della vita è più leggera rispetto a quella americana, ma meno rigida da quella nipponica.
I palazzi, le ville e la città i generale ha vissuto trasformazioni, abbellimenti e cultura con il passato del tempo e il passeggiare lungo le rive della Senna è una delle tradizioni che prenderanno sempre più piede.
Diventa una città visitata, ammirata e scelta come meta turistica, tanto che nel 1900 ospita l’Expò universale.
Inizia ad avere un ruolo guida nelle arti e nel pensiero, diventano famosi i suoi musei e prendono prestigio le università. Molti pittori e artisti scelgono Parigi come meta d’ispirazione e perfezionamento della tecnica e si riunirono in quello che diventò il quartiere degli artisti a Montmartre.
La torre Eifell era già il simbolo indiscusso della città, ma l’isolotto sulla Senna, che tutt’ora ospita la cattedrale di Notre Dame, veniva visitato spesso. Ai tempi non si potevano scattare foto sotto l’Arco del trionfo se non facendo richiesta a un fotografo professionista e i musei venivano allestiti in monumenti storici di grande importanza.
Di certo passeggiare con una baguette sotto braccio non era ancora ‘di moda’, ma deliziare il palato assaggiando morbidissimi macarons, il dolce preferito da Maria Antonietta, in uno dei caratteristici caffè parigini sì. Magari lo si accompagnava con una buona tazza di tè ma senza il rituale eseguito dalle geishe giapponesi.

Foto prese da Pinterest

Buona lettura!
Sushka

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